Novembre: Sorbo uccellatori

 

Il Sorbo è un albero con una storia che ha radici in tempi lontani, quando i nostri antenati ritenevano che tutta la Natura fosse viva, misteriosa e andasse interpretata ed esplorata anche attraverso l’uso della magia. Infatti quello del Sorbo era un legno che, assieme al Faggio e alla Betulla, era usato dai Druidi per incidervi le Rune. Nel Nord Europa infatti era chiamato Rowan, proprio la parola che indicava il sacro alfabeto, ed era piantato attorno ai circoli di pietre dove venivano svolte le cerimonie.

In primavera la “verga della Vita”, il legno di Sorbo, era considerata magica e capace di richiamare gli Spiriti della vegetazione che avevano il compito di far rinascere foglie e fiori. In Scozia invece il Sorbo era l’albero in grado di connettere il mondo dei vivi con quello dei trapassati e quindi era usato nelle cerimonie funebri, al pari del Tasso, oppure per cercare un contatto o ricevere messaggi dal mondo dei trapassati.

Si credeva inoltre che con bastoni di questo legno si riuscisse a tenere a bada i licantropi, mentre i suoi frutti allontanavano le streghe. Un antico e ormai dimenticato proverbio recitava che “..i Sorbi e il filo rosso buttan le streghe nel fosso..”. Con i suoi rami si costruivano delle croci da mettere dietro le porte, per proteggere la casa.

Questo legno potente era usato per difendersi dalla paura, mentre le donne portavano al collo collane delle sue rosse bacche per protezione. Mentre sono ancora molti i rabdomanti in grado di trovare l’acqua nel sottosuolo usando la bacchetta biforcuta di nocciolo, ci siamo dimenticati che nello stesso modo gli antichi cercatori di tesori, metalli o gioielli perduti usavano i rami del Sorbo.

Per i Celti era l’albero del secondo mese dell’anno, dal 22 gennaio al 27 febbraio, era chiamato Luis e rappresentava la luce che tornava, simbolo dell’attesa della rinascita della natura. Assieme alla quercia era l’albero sacro a Thor, il Dio che governava tuoni e fulmini ed è forse questo il motivo per cui un tempo, nelle aree di tradizione teutonica, si mettevano le fronde di sorbo per proteggere le case dai fulmini.

Eppure nonostante una storia così affascinante e che era presente in quasi tutta l’Europa antica, oggi il Sorbo viene ricordato per la sua caratteristica di essere un cibo ricercato dagli uccelli, spesso in montagna unico o quasi nutrimento invernale per le creature alate, anche quelle in migrazione. Ma già i romani sfruttavano questa caratteristica per attirare gli uccelli, funzione ricordata anche nel nome scientifico che è Sorbus aucuparia da aucupio, l’uccellagione.

Ancora oggi in montagna lo si trova spesso accanto alle case isolate, fuori dai centri abitati, utilizzati un tempo proprio per la cattura dei pennuti e per integrare così una dieta sicuramente non ricca. Chissà se il Sorbo è felice di fungere da trappola per ingannare i piccoli e indifesi abitanti dell’aria! 

L’augurio è che, questa pratica di catturare i piccoli volatori, ancora esistente seppure in regressione, venga abbandonata del tutto. È reale infatti il pericolo di estinzione o comunque di forte diminuzione, anche a causa della chimica in agricoltura, dell’inquinamento generale e della caccia. Veder volare gli uccelli dovrebbe essere uno spettacolo sufficiente a riempirci di gioia e gratitudine. 

Di solito il Sorbo, detto anche Sorbo Rosso o Sorbo Selvatico, non raggiunge grandi dimensioni, rimanendo di media tra i 10 ed i 12 metri, ma può però arrivare, anche se in casi rari, ai 20.

Questo albero che appartiene alla famiglia delle Rosacee, come ad esempio la rosa selvatica e il biancospino, è diffuso in quasi tutta l’Europa. Ha bisogno però di quote medio alte, anche se può spingersi fino ai 2000 metri, o inverni molto freddi e lunghi, verso i quali ha una grande resistenza. È una pianta pioniera che è in grado di colonizzare ambienti difficili, migliorando la qualità del suolo.  

I fiori, piccoli e bianchi sono molto belli, simili a quelli del Sambuco, ma emanano un odore da pesce non piacevole per attirare gli insetti impollinatori che lo gradiscono. I frutti, piccole bacche di color arancione vivo, contengono molte vitamine, ma anche zuccheri e tannini, un tempo usati per la concia delle pelli. Vi si trova anche l’acido sorbico, per cui di bacche crude non bisogna mangiarne più di  una decina al giorno. Però l’acido sorbico si degrada con il calore, quindi con le bacche e con grande pazienza, si può farne della marmellata, da mangiare in piccole quantità, come una medicina. Veniva usato nel passato per curare la tosse e la bronchite, per proteggere la gola, come antireumatico e purificatore dei reni, ma sono pochi ormai gli erboristi che lo consigliano.  

Come considerazione conclusiva non si può che rimanere stupiti davanti a questo piccolo albero che nel nostro antico passato è stato uno degli alberi più venerati e rispettati, curati e utilizzati a scopi magici, rituali e di protezione, mentre ai nostri giorni non sia per nulla considerato, anzi, peggio, quasi del tutto dimenticato.

L’invito è quello di riscoprire quest’anima vegetale così affascinante e misteriosa. Cercatelo, ora in autunno o nel corso dell’inverno, così carico di bacche brillanti è facile da riconoscere. Rendetegli omaggio, a lui ma anche alla nostra memoria, a tutto ciò che conoscevamo della natura ed abbiamo perso per strada. Io penso che mai come in questo periodo è valida la considerazione, apparentemente vuota e retorica ma in realtà sempre più vera e pressante, di imparare a guardare indietro per poter andare avanti in un modo migliore di quello che abbiamo fin qui fatto e stiamo  attualmente facendo.   

Per concludere vi condividiamo una poesia di Agostino Barletta dedicata a questo albero:

 

Sorbo degli uccellatori
di 
Agostino Barletta

 

[…]

Quanti filari
incoronati di reti fetenti
catturavano tribu' di migratori,
manna per cacciatori
e sugo per le polente?
Sopra questo bosco arancione
corre il filo di quell'emozione,
per ogni volta che una tordela
incappava in quella tela
che interrompeva quel volo potente
di due minuscole ali
da continente a continente.

[…]

Articolo a cura di Toio de Savorgnani

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